Il futuro è nel presente

Il futuro è nel presente

Di Silvano Petrosino

Il futuro non è “l’avvenire”. Il futuro è necessariamente legato al presente: è sempre il futuro di un determinato presente. Non potrebbe essere altrimenti; quando noi pensiamo al futuro, quando ad esempio progettiamo una determinata iniziativa futura, non possiamo far altro che partire dal presente in cui viviamo, vale a dire dalle idee, sogni, speranze, ipotesi, immaginazioni, ecc. che abitano il nostro presente.

È a partire dall’oggi che penso al domani allo scopo di progettare le mie azioni future; di conseguenza il domani, pensato/immaginato oggi, non può far altro che contenere delle tracce di questo stesso oggi a partire dal quale lo penso/immagino. Ritorna il tema del pre-vedere: è a partire dall’oggi che pre-vedo/ pro-getto quel futuro che, da questo punto di vista, è sempre un suo riflesso e in qualche modo una sua immagine; nel pro-gettare getto nel futuro qualcosa che proviene inevitabilmente dal presente. Dunque, come spesso si è sottolineato, il futuro è sempre il futuro di un presente. All’opposto, l’avvenire è precisamente ciò che non può essere previsto/progettato; esso è il campo dell’evento, dell’avvenimento, di ciò che viene e accade, e ciò che accade e viene lo fa sempre senza avvisare, senza pre-avvisare. Accade, ad esempio, che ci s’innamori, ma è una follia pro-gettare di innamorarsi; nessuno può prevedere con serietà quando e se s’innamorerà. Per chiarire questo punto può essere utile accennare brevemente alla riflessione che Derrida sviluppa intorno al tema dell’«invenzione dell’altro» e più precisamente alla categoria dell’immaginazione.

Commentando lo slogan sessantottino «L’immaginazione al potere», si può infatti osservare che senza alcun dubbio si tratta di liberare l’immaginazione e il pensiero per dare vita a nuove idee, a nuove interpretazioni, stabilendo così nuovi nessi tra teorie e concezioni diverse capaci di interrogare e a volte addirittura di rivoluzionare il tradizionale modo di pensare. Ma al tempo stesso si tratta anche di riconoscere l’urgenza e la necessità di liberarsi dall’immaginazione per predisporsi ad accogliere il nuovo, l’imprevedibile, ciò che il filosofo francese chiama addirittura «l’impossibile», vale a dire ciò che non può essere previsto e progettato, ciò che, per l’appunto, non può neppure essere immaginato. In questo modo si tratta di operare per liberarsi dall’incanto provocato dalla proiezione della propria immagine all’interno della propria immaginazione, evitando così di trasformare quest’ultima, non in un’apertura al nuovo, ma in una forma di difesa nei suoi confronti. In effetti, quando nel mio presente immagino e progetto il futuro, quest’ultimo, come ho già sottolineato, non può che recare in sé le tracce della mia stessa immagine e del mio presente. Da questo punto di vista si può intendere l’avvenire come l’altro dal futuro, e l’altro – è un punto sul quale insiste con particolare forza Derrida – è precisamente ciò che non s’inventa, non s’immagina, non si prevede. Liberarsi dall’immaginazione, nella misura in cui è possibile, significa dunque accettare l’eccedenza dell’improgettabile, dell’imprevedibile, dell’inimmaginabile, dell’inimmaginabile, significa aprirsi all’avvenire come a un luogo che nessun futuro può circoscrivere.

Ritorniamo ora alla nostra questione a partire dalla distinzione proposta. L’uomo ha sempre cercato di ricondurre l’eccedenza dell’avvenire all’interno dei confini del futuro, ha sempre cercato di immaginare l’inimmaginabile al fine di progettare il proprio futuro e tentare così di “metterlo in sicurezza”, ma nella nostra società questa tendenza è diventata tecnologicamente così potente da arrivare a pensare che forse l’identificazione tra avvenire e futuro possa essere concretamente realizzata. L’immaginazione di oggi, con l’aiuto dell’algoritmo e del calcolo computazionale, arriva a “immaginare”, ingannandosi, di poter ridurre la distanza che separa il futuro dall’avvenire, e di poterla ridurre a tal punto da riuscire, prima o poi, addirittura ad annullarla.

Se ci si impegna, lo si continua a ripetere, con l’aiuto della scienza e delle tecnologie informatiche si riuscirà a ridurre l’ignoto solo a ciò che non è ancora noto, così come si riuscirà a trasformare l’imprevisto solo in ciò che momentaneamente non è ancora previsto, e quest’ultimo, proprio perché è solo un “non ancora previsto”, ha in verità l’identità di quell’“imprevisto previsto” di cui parlavo più sopra. Mi permetto di insistere: nel nostro futuro, in quello della stragrande maggioranza degli abitanti del “primo mondo” (a esclusione, lo ripeto, degli studiosi delle malattie infettive), l’epidemia che ci ha colpito – e soprattutto come lo ha fatto – non era, per delle ragioni essenziali, prevedibile. Il nostro presente, preoccupato di progettare il futuro – si pensi all’isteria con la quale molti genitori, per “mettere in sicurezza” il futuro dei propri figli, portano a esaurimento il loro avvenire, quello dei figli, occupandolo di attese, di sollecitazioni verso quel master o quello stage, di “suggerimenti” verso quella professione invece che verso quell’altra, non lasciando alcuno spazio all’accadere del nuovo –, ha finito per dimenticarsi dell’avvenire, ha prestato attenzione solo al futuro e si è disinteressato dell’avvenire.

Ma quest’ultimo si è fatto sentire, con la sua voce, che, per l’appunto, è sempre quella della sorpresa e dell’imprevedibilità.
 

23/11/2021

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