ResQ People: soccorrere è un obbligo, essere soccorsi un diritto

ResQ People: soccorrere è un obbligo, essere soccorsi un diritto

 di Anna Spena 

 
ResQ People è salpata per la prima missione il 7 agosto 2021 e ha già salvato 225 vite. Lia Manzella, vicepresidente di ResQ People, racconta il cuore dell’iniziativa e la terza missione della nave nata grazie all’impegno della società civile. 
Era l’inizio dell’autunno del 2019. Pochi giorni dopo il sesto anniversario della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, dove, a poche miglia dal porto dell’isola, persero la vita 368 persone e diverse furono disperse. 
Una delle più gravi catastrofi che si è consumata nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. Quattro amici di ritorno da un evento di commemorazione si guardano in faccia: «è possibile che le istituzioni non si prendano la responsabilità di quello che succede in mare?». É da questa domanda che è nata l’associazione ResQ - People Saving People, che è riuscita a mettere nelle acque del Mediterraneo una nuova nave per soccorrere i migranti, una nave nata grazie all’impegno della società civile. Tra loro anche Lia Manzella, oggi vicepresiden- te e Fundraiser di ResQ. «Dopo la prima intuizione alla fine del 2019», racconta, «ci siamo ritrovati l’estate successiva con un gruppo di 17 persone e abbiamo iniziato a chiederci “ma noi possiamo fare qualcosa?”. Quel “qualcosa” si è trasformato nell’idea di comprare una nave». Ma come? 
Il 3 ottobre del 2020, un anno dopo il primo incontro, parte la campagna di raccolta fondi per acquistare l’imbarcazione che avrebbe poi navigato nel Mediterraneo e salvato quante più persone possibile. La ResQ People è lunga 39 metri, il costo della nave ammonta a 400mila euro raccolti grazie alla generosità di oltre 3mila donatori: «dalle piccole donazioni fino ai contributi straordinari come quello dell’Unione Buddhista Italiana», dice Manzella. «Ad agosto 2021», continua, «è partita la prima missione di ResQ: abbiamo soccorso 166 persone». 

Ad ottobre dello stesso anno la nave è partita per una seconda missione «C’ero anch’io», racconta. «Siamo salpati il venerdì sera e il sabato pomeriggio abbiamo ricevuto la segnalazione di un’imbarcazione in distress. Abbiamo salvato le 59 persone a bordo. Il barchino di legno su cui si trovavano era partito da Zuwara, Libia, ed era stato in mare per circa 24 ore: non avevano più acqua né cibo, e avevano finito la benzina». Undici nazionalità diverse, Siria, Somalia, Eritrea, Etiopia, Sudan e Egitto; ma anche Yemen, Nigeria, Li- bia, Gambia, Costa d’Avorio, 17 minori non accompagnati, una donna incinta al settimo mese. «É stata una delle esperienze più forti della mia vita», spiega. «La mattina successiva abbiamo ricevuto un’altra segnalazione di distress al confine tra zona Sar maltese e libica. Circa 100 miglia nautiche da noi, oltre 11 ore di navigazione, ma eravamo l’unica nave della flotta umanitaria civile in mare ed abbiamo deciso di mettere la prua a sud. Una corsa contro il tempo, ma una corsa persa: abbiamo trovato solo un gommone nero abbandonato, i libici avevano già intercettato i naufraghi. Ricordo la grandissima frustrazione che abbiamo provato. Ma ricordo anche perfettamente gli sguardi e i sorrisi dei ragazzi salvati il giorno prima nonostante i racconti atroci. E un’immagine mi è rimasta impressa: quando salgono a bordo gli diamo un kit di emergenza, all’interno ci sono anche delle barrette proteiche. Mi ricordo di questo ragazzo che apre la barretta e prima di addentarla ne offre un pezzo alla mediatrice culturale che gli aveva consegnato lo zainetto». 
La terza missione di ResQ è in preparazione e la campagna di raccolta fondi continua «più intensamente possibile per uscire in mare il prima possibile. Noi vogliamo solo salvare delle vite, e salvare vite non può essere un tema divisivo».
01/12/2022

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