Adolescenti: bere tanto va bene, essere ubriachi è imbarazzante

Adolescenti: bere tanto va bene, essere ubriachi è imbarazzante

Binge drinking. Ovvero “abbuffata alcolica”. Ossia l’usanza, diffusa soprattutto tra giovani e giovanissimi, di consumare grossi quantitativi d’alcol (misurato in almeno 5 bicchieri) in un ristretto arco di tempo, inseguendo una rapida alterazione dei sensi. Un termine che tra gli addetti ai lavori è in uso da più di dieci anni, quando l’Istat realizzò la prima indagine in merito. Secondo gli ultimi dati disponibili, oggi rientra nella definizione di binge drinker il 35 per cento degli adolescenti italiani: un dato appena inferiore alla media europea, che stride però con le dichiarazioni sugli episodi di ubriachezza, che interesserebbero invece solo il 13 per cento di loro (sensibilmente meno rispetto al resto d’Europa). Per inquadrare meglio questa incongruenza, l’istituto di formazione e ricerca Eclectica ha realizzato uno studio sul fenomeno. Commissionata dall’Osservatorio permanente su giovani e alcol (ente fondato dall’Università di Perugia e dall’Associazione industriali birra e malto), e svolta tra Torino, Roma e Salerno, la ricerca ha indagato le abitudini di consumo di 134 giovani tra i 15 e i 17 e tra i 22 e i 24 anni. Tutti accomunati dall’aver ammesso, in un’intervista preliminare, di aver bevuto nell’ultimo anno un quantitativo eccessivo di alcolici. “Più che la diffusione del fenomeno – spiega Franca Beccaria, autrice dello studio – ci interessava conoscere il significato che i giovani gli danno. Ovvero quando è praticato il binge drinking, in quali contesti e con quali motivazioni”. Domande meno scontate di quanto sembrino, almeno a leggere i risultati dell’indagine. Che (per quanto possibile con un campione di 134 soggetti) restituiscono un identikit sfaccettato del cosiddetto binge drinker: che va dai ragazzini che tendono, specie tra le classi sociali più basse, a bere quei cinque o più bicchieri il più velocemente possibile (e spesso anche a stomaco vuoto, incentivando gli effetti della sbronza), ai ventenni che prediligono invece un consumo più improntato alla socialità, e dunque più diluito nel corso della serata. A colpire, però, è il fatto che quasi tutti gli intervistati diano una connotazione fortemente negativa all’idea di ubriachezza: quel che cercano, almeno a sentir loro, è una sensazione di euforia, di perdita delle inibizioni. “Siamo di fronte – continua Beccaria – a un uso farmacologico dell’alcol, consumato per superare ansia da prestazione, per riempire un disagio esistenziale, per attenuare la pressione sociale. L’ubriachezza profonda, quella che conduce ai malori e alla perdita dei sensi, è fortemente stigmatizzata tra i giovani italiani, che la vedono come un comportamento goffo, inadeguato, come un motivo di imbarazzo. E, almeno in questo, sembrano molto diversi dai loro coetanei del nord Europa, che nell’alcol cercano proprio la perdita di coscienza”. Quali che siano le ragioni o i codici di consumo, comunque, resta fuori discussione il fatto che bere cinque bicchieri di alcol in sequenza ravvicinata sia un’abitudine fortemente dannosa, specie per un ragazzo di sedici anni. E bisognerebbe forse tener conto della tendenza, tipica di quell’età, a porre sotto una luce positiva le proprie abitudini, specie quando non sono socialmente accettate. È certo che tra i giovani bevitori le contraddizioni non mancano: come la tendenza a condannare quegli stessi baristi che, sotto lo sguardo indifferente della movida, gli servono da bere in barba a ogni divieto di legge. Un altro dato che emerge infatti è che “a differenza di quanto accade in America o in altri paesi d’Europa, i nostri giovani non hanno bisogno di ricorrere ad alcuno stratagemma per farsi servire da bere. Nelle rarissime occasioni in cui incappano in un rifiuto, gli basta percorrere poche centinaia di metri per trovare qualcuno chi li accontenti senza troppe domande”. A consolare, però, c’è almeno il fatto che, nell’assenza di controllo, i giovani binge drinkers sembrano essersi dati alcune basilari regole di buon senso. “Soprattutto tra i giovanissimi – conclude Beccaria – è molto raro che si guidi da ubriachi. Spesso, tra i ragazzi, c’è l’abitudine che qualcuno a turno, resti sobrio per poter guidare. Inoltre lo stigma posto sull’ubriachezza molesta fa sì che, anche quando bevono, cerchino comunque di tenere un certo contegno”. (ams) © Copyright Redattore Sociale

16/12/2013

Casa Ama

visita anche i nostri siti
Ama Lavoro Ama Terra Ama Festival La Scuola Ama