La mia casa è in un respiro - Riflessioni con Ermal Meta

La mia casa è in un respiro - Riflessioni con Ermal Meta
Sono nato in un paese che era pieno di bunker: in Albania ogni gruppo di case doveva essere dotato di bunker, tale era l’ossessione del nemico. Persino le strade non potevano essere mai tracciate dritte, perché avrebbero potuto essere usate come piste di atterraggio per nemici invasori. I bunker però sono stati i miei primi spazi di libertà: ci richiudevamo con i miei amici – ce n’era sempre qualcuno che aveva un padre custode con le chiavi. Dentro si facevano giochi di coraggio, nei meandri bui. Nel bunker per la prima volta, di nascosto, ho potuto ascoltare una cassetta con le canzoni di Michael Jackson. Mi stregarono e decisi in cuor mio che quella sarebbe stata la mia vita. Ma il paese in cui vivevo non era un paese che permettesse di sognare. Allora credevo che il destino fosse come un solco costantemente coperto dalla nebbia del futuro. Che è una specie di casa a luci spente, entri, ma non vedi niente, devi in qualche modo accendere la luce e quando lo fai quello è il momento del presente. Adesso penso che i solchi siano tanti e paralleli, e che noi saltiamo dall’uno all’altro ogni volta che facciamo una scelta. Per questo oggi ho voluto scrivere un libro, che è un libro sul destino, su ciò che diventa inevitabile, su come una piccola cosa possa cambiare tutto. 
La casa quando ero in Albania non era un luogo in cui ci si poteva sentire al sicuro, perché il potere entrava dappertutto, come era entrato un 11 giugno del 1953 dalla finestra aperta della casa di mio nonno, che stava dormendo. Venne ucciso con una coltellata e aveva ancora il libro che aveva letto, chiuso sul petto: era "Il conte di Montecristo". A Tirana c’è una casa che è stata chiamata la Casa delle Foglie: è una bella villa coperta di edera nel centro della città. 
Era stata costruita nel 1931 per essere una moderna clinica ostetrica, ma durante l’occupazione tedesca diventò il quartier generale della Gestapo e infine fu trasformata nella sede del Sigurimi, il servizio segreto albanese. Da qualche anno l’hanno trasformata in un museo, bellissimo in sé e certamente uno dei più importanti dell’Albania: sono stati raccolti i filmati dell’epoca, le foto, l’elenco dei nomi e i volti di chi fu ucciso, i sistemi di spionaggio, le «cimici» nascoste ovunque per captare le sirene corruttrici del «mostro capitalista». C’è persino un cappotto con una macchina fotografica nascosta nel revers, che veniva attivata con un finto bottone. Ascoltare, aprire le buste delle lettere, scattare foto compromettenti. E poi ricattare, quindi punire, spesso uccidere. 
A volte un luogo può però cambiare la sua natura. Nel 2019 ho fatto un concerto a Tirana, nel Palazzo dei Congressi: era lo stesso palazzo in cui si celebravano le grandi riunioni del Partito e da cui partivano tutte le direttive che strozzavano la libertà nel paese. Quel giorno mi sono commosso; per me rappresentava un grande vanto poter dipingere quei muri con la mia musica. 
Una delle domande che mi sono fatto nella vita è “cosa significa sperare”. Ho sperimentato che, laddove c’è una grande paura, ci può essere una grande speranza: è una speranza mossa dalla disperazione che ti fa fare quello che non avresti mai immaginato di saper fare. 
Così quando sono arrivato in Italia, lasciando i miei amici in Albania, mi è successo che non dormivo perché non avevo niente di cui preoccuparmi; quella calma s’intonava male alla mia vita, ero in distonia con quello che avevo intorno. Allora ho maturato questo pensiero nel mio intimo. Tutti respiriamo per vivere, ma c’è un momento in cui anche il respiro è in pausa, in cui rimane in silenzio. Quella frazione di secondo tra l’inspirazione e l’espirazione in cui i polmoni si fermano, ma noi continuiamo a esistere. Mezzo secondo di niente, in cui tuttavia continuiamo a esistere. Sei secondi al minuto in cui l’aria non entra né esce, 140 minuti in 24 ore, trentasei giorni in un anno, sei anni in settant’anni in cui il tempo si ferma nei nostri polmoni. Sembra tanto, ma non ce ne accorgiamo, e mentre danziamo con la morte sorridiamo alla vita, un respiro dopo l’altro, una nota dopo l’altra, un silenzio dopo l’altro. 
 
23/01/2023

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