La rivoluzione siamo noi

Rivoluzione è sinonimo di resurrezione, una definizione a cui Beuys, nato da famiglia cattolica, ricorre spesso: «È il principio della resurrezione: trasformare la vecchia figura che muore ed è irrigidita in una figura viva, pulsante, che stimola la vita, l’anima, lo spirito». Di Beuys ricorrono in questo 2021 i 100 anni dalla nascita.

Di Giuseppe Frangi

Ci sono immagini che segnano una stagione della vita e della storia. Questa di Joseph Beuys scattata nel 1971, fa certamente parte di questo ristretto novero. Vediamo l’artista venire spavaldamente verso l’obiettivo secondo una regia che gli era chiarissima nella testa. È vestito come un guerriero contemporaneo, senza armi ma pronto a scendere sul campo di battaglia. Va a fronte alta, forte di una consapevolezza che nessun dubbio può incrinare. Ha il passo deciso, uno di quei passi che “sentono” di poter rovesciare il mondo. La foto è stata scattata ad Anacapri, nel giardino di uno dei primi galleristi napoletani che avevano intercettato e capito il genio eversivo di Beuys, Pasquale Trisorio. Alla foto l’artista diede un titolo in italiano, che è importante quanto l’immagine: “La rivoluzione siamo noi”. La rivoluzione come la intende Beuys non è più un progetto, un obiettivo ma un processo messo in atto e che sta irrompendo nel presente. Rivoluzione è infatti sinonimo di resurrezione, una definizione a cui Beuys, nato da famiglia cattolica, ricorre spesso: «È il principio della resurrezione: trasformare la vecchia figura che muore ed è irrigidita in una figura viva, pulsante, che stimola la vita, l’anima, lo spirito». Non sta parlando solo di sé, o di chi come lui si definisce “artista”. Beuys in questa foto include tutti: quello che auspica o profetizza è una sorta di rigenerazione sociale, che trova nell’arte il suo fattore propulsivo.

Beuys si concepiva soprattutto come scultore. A Düsseldorf dove era carismatico professore all’Accademia, teneva la cattedra di “scultura monumentale”. Ma anche nel caso della scultura la sua accezione è assolutamente nuova: tutta l’opera dell’artista si configura come “soziale Plastik”, secondo la sua stessa definizione. «L’evoluzione va dall’arte moderna – cioè dall’arte tradizionale perché io considero tradizionale anche l’arte moderna – all’arte antropologica, e in quel contesto si realizza l’arte sociale: la società come opera d’arte», aveva detto Beuys nel bellissimo dialogo con Michael Ende raccolto in “Arte e politica una discussione” (Guanda, 1994). Scultura è quindi un lavoro di «configurazione del corpo sociale come grande opera d’arte». L’artista Joseph Beuys lavora a liberare l’energia artistica che è di ogni persona; la sua “scultura” prende la forma del cambiamento delle persone spinte a sperimentare un livello più alto di libertà.

Unica condizione perché questo processo accada, è che nessuno deleghi. Per questo nella foto Beuys gioca in prima persona plurale: “siamo noi”. In questo processo l’alleanza con la natura diventa un fattore imprescindibile. La natura fa da maestra e indica la strada: «Dico che l’albero è anche un segnale della trasformazione della società. È un segno che dimostra che la società deve essere elevata a un nuovo, terzo livello, anche secondo i punti di vista organici, senza alcuni ideologia, e soprattutto al di là di capitalismo e comunismo».

La forza di Beuys è quella di ricondurre tutta questa prospettiva epocale a pratiche di estrema concretezza ed esemplarità, che lo proteggono dal rischio di deviare nell’utopia. Il caso più emblematico e celebre è quello delle «7.000 querce», l’opera con la quale si era presentato alla settima edizione di Documenta nel 1982. Aveva invaso la piazza davanti al Fridericianum, epicentro della grande manifestazione di Kassel, con 7.000 lastre di basalto, adottabili da chiunque volesse: con i soldi ricavati furono piantate negli anni altrettante querce nei dintorni della città tedesca, ciascuna segnalata dalla presenza di una delle lastre. Era parte del grande progetto “Difesa della natura” che ha occupato l’artista nell’ultimo periodo della sua vita.

Di Beuys ricorrono in questo 2021 i 100 anni dalla nascita. Pochi artisti ci appaiono però “vivi” come lui, proprio perché lui con la sua opera ha fatto di innesco a qualcosa che sta ancora maturando nella coscienza di tanti.

Personalmente quando guardo la campagna di Castel di Lama, mi vien da pensare che Beuys riconoscerebbe in questa integrazione tra la natura e l’umano una “scultura sociale”.
 

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06/04/2022

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