Renzo, la casa è altrove

Renzo, la casa è altrove
«Andava dunque il nostro viaggiatore con grande alacrità, senza aver disegnato né dove, né come, né quando, né se avesse da fermarsi la notte, sollecito soltanto di portarsi innanzi, di arrivar presto al paese, di trovar con cui parlare, a cui raccontare, soprattutto di poter presto rimettersi in via per Pasturo, alla cerca d’Agneseˮ.
Inizia così l’ultimo viaggio di Renzo ne “I promessi sposiˮ. Si è lasciato alle spalle Milano e il Lazzaretto.
“Come è conciato Milano! Quel che bisogna vedere! quel che bisogna toccare! Cose da aver poi schifo di sé medesimo... se tu vedessi il lazzeretto! V’è da perdersi nelle miserie. Basta; ti conterò tutto...ˮ, racconta all’amico che lo avrebbe ospitato quella notte. Renzo corre, non bada alla pioggia, al fango che lo inzuppa da capo a piedi. Non pensa a dormire e a prendere fiato. Com’è nel suo carattere prende la vita al balzo, senza farci sopra troppi pensieri. Difficile veder Renzo camminare; Renzo quasi sempre corre, come quella volta – era all’inizio di tutta la storia – che si era trovato a correre con “lieta furia” per combinare i dettagli del matrimonio che però non s’aveva da fare per ordini superiori. Renzo è come un motorino. Non si volta mai indietro, perché ha in testa solo il futuro: non è uno che si maceri in nostalgie. 
Perciò quando arriva davanti alla sua casa, non si perde in lacrime. Sa che per lui si tratta di voltar pagina e pragmaticamente orienta tutte le sue energie nella direzione del piano che ha in testa per sé e per Lucia. «In quanto al suo proprio podere, non se n’occupava punto, dicendo ch’era una parrucca troppo arruffata, e che ci voleva altro che due braccia a ravviarla. E non ci metteva neppure i piedi; come né anche in casa: ché gli avrebbe fatto male a vedere quella desolazione; e aveva già preso il partito di disfarsi d’ogni cosa, a qualunque prezzo, e d’impiegar nella nuova patria quel tanto che ne potrebbe ricavare». 
Il futuro è altrove, è futuro da migrante, lui con Lucia, al di là dell’Adda.
«La conclusione fu che s’anderebbe a metter su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento: in quanto al tempo, non si poteva decider nulla, perché dipendeva dalla peste, e da altre circostanze». 
L’Itaca di Renzo è dunque in un altrove. Quando c’è da voltar pagina non c’è nessuno tanto determinato, pur nella sua semplicità, quanto lui. Per migrare deve vendere. Vendere cose di poco conto, come elenca don Abbondio confidando al Marchese *** (colui che aveva rilevato il palazzotto di don Rodrigo) arrivato in visita: «...vender quel poco che hanno al sole qui: una vignetta il giovine, di nove o dieci pertiche, salvo il vero, ma trasandata affatto: bisogna far conto del terreno, nient’altro; di più una casuccia lui, e un’altra la sposa: due topaie, veda». 
Qui il destino però rovescia le sue carte e la Provvidenza chiude davvero la partita. Il Marchese *** fa saltare il banco e moltiplica la posta: «Il compratore disse che, per la parte sua, era contentissimo, e, come se avesse frainteso, ripeté il doppio; non volle sentir rettificazioni, e troncò...».                                                            Poteva essere la carta che cambiava i piani, e convinceva Renzo, Lucia e la loro Agnese a restare: con quel tesoretto si poteva ricominciare la vita anche lì. Invece no. Ed è magnifico come Manzoni motiva il fatto che non si potesse tornare indietro: «Già da qualche tempo, erano avvezzi tutt’e tre a riguardar come loro il paese dove andavano».  
28/02/2023

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